NUOVI CERCATORI D’INFINITO di Roberto Lambarelli
Cercatori d’infinito, con questo titolo Stefano Fontebasso De Martino ha raccolto una serie di ritratti d’artista. Dietro di essi si cela più di una volontà.
La prima, forse la più importante, è quella di non cedere in una delle tante forme in cui si esprime la mondanità. Molti, troppi fotografi nascondono dietro il prestigio del personaggio ritratto la mancanza di una poetica; come se il personaggio bastasse a riscattare le ragioni del fatto fotografico.
Fontebasso piuttosto, è impegnato – ecco un’altra volontà – a stabilire un rapporto diretto tra l’atto del fotografare e l’artisticità dell’atto creativo di cui il soggetto ritratto è, per così dire, portavoce.
Un rapporto simpatetico che traspare dall’espressione dei volti, dalle posture,dai gesti e dagli oggetti. Dunque non l’uomo nel suo essere mondano ma l’artista nella sua spiritualità è l’oggetto del suo interesse.
In questo senso ci piace ascriverlo ad una tradizione d’Èlite, nata con Mulas – al quale la mostra stessa è idealmente dedicata, come testimonia il ri-ritratto di Pascali – e continua fino ad Abate, Mussat Sartor, Colombo, per limitarci a pochi nomi presi in rappresentanza di quanti si sono dedicati energicamente a rappresentare il mondo dell’arte, gli aspetti più reconditi dell’intuizione figurativa.
Sarebbe questo il luogo adatto per parlare del ritratto d’artista come genere fotografico ormai piuttosto frequentato, se non mi premesse di più individuare la strategia fotografica che Fontebasso mette in atto. Ma prima vorrei soffermarmi sulla natura dei suoi interessi, testimoniando che essi si rivolgono tanto ad artisti di indiscussa fama internazionale quanto ad artisti giovani e di incerto futuro.
Ma questo a condizione che egli riesca a stabilire quel rapporto di reciproca partecipazione al quale abbiamo già accennato. Una interazione che è alla base della sua strategia. Un comportamentismo fotografico nel quale la macchina diventa un sensore che si attiva là dove si produce una sinergia.
Ecco i primi piani si sottomettono alla fisiognomica ricerca di una spiritualità: ecco ancora l’artista al lavoro, indagato nelle sue gestualità tipiche; ecco ancora l’artista ritratto alla stregua degli oggetti e degli strumenti di lavoro, che si trasformano in tanti indizi rilevatori dei segreti della sua creatività. Ecco ciò che mi piace di Fontebasso, la sua volontà di liberare l’ossessione fotografica attraverso la sublimazione dell’atto creativo e delle sue inalienabili componenti.