Foto alla Clorofilla
Nell’antica Roma “viridario” era il nome che veniva dato al giardino delle case patrizie, posto al centro del peristilio o del cavedio. La mostra fotografica di Stefano Fontebasso De Martino è un giardino, questa è la ragione del titolo (“Viridaria”), che raccoglie immagini di fiori e piante, petali, corolle e foglie.
A scegliere un soggetto così ci vuole coraggio, perché paesaggi e fiori sono il pane quotidiano di tutti i dilettanti. Stefano, uno dei migliori fra gli artisti – fotografi che conosca, non ha voluto distinguersi per la scelta di un soggetto “originale” e ricercato. Non ha voluto prendersi vantaggi. Come quando ha fotografato centinaia di artisti (altri l’avevano fatto, ma lui lo ha fatto meglio).
Soggetto comune e foto realizzate con tecnica fotodigitale accessibile a tutti . Un po’ come dipingere la montagna di Saint Victoire, la stessa, decina di volte alla ricerca della perfezione; stesso soggetto, semplici strumenti eppure… Cezanne spalancherà le porte del moderno.
Questa piccola e fragrante mostra alla clorofilla, anche se non passerà alla storia (ma non si sa mai…) ci regala, oggi, il piacere dell’occhio. Un piacere che quando è profondo, come in questo caso, è anche della mente.
Esiste una bellezza ruffiana ed effimera che si consuma presto, come un fiore appunto. E una bellezza duratura e solenne che tende, come le grandi idee, a sopravvivere nel tempo. Ci sembra che la bellezza raccontata dai fiori e dalle piante del giardino di Fontebasso De Martino sia di quelle solenni e durature perché ha a che fare con il mondo delle idee oltre che, come è ovvio, con quello delle piante.
Di sicuro non è estranea a questa impressione la scelta da lui praticata dei colori, il loro trattamento, le inquadrature ravvicinate e una semplicità di impostazione ispirata a un rigore e a una disciplina che disprezza ogni effettaccio accattivante. E così l’atteggiarsi dei petali e degli steli, la “minaccia” delle spine e l’aprirsi delle foglie sembrano alludere a forme astratte. Ricorrenze numeriche, armonie ritmiche, ripetizioni, calcolati contrasti, linee rette e curve che senza violare l’identità botanica si risolvono in esiti formali di sapore e qualità “pittorica” alta. “Due rose” ad esempio ricordano i piccoli vasi di fiori di Morandi in cui colori e forma si accordano nel silenzio del tono.
Una volta si parlava di “pittura di valori”. Ecco mi sembra che quella di Fontebasso possa essere definita una “fotografia di valori”. Non quelli abusati della retorica corrente, del moralismo parolaio e dell’estetica da rotocalco. Non quelli del pensiero unico, uniformato e ubbidiente. Piuttosto i valori di un artista originale e gentile ma anche cocciuto nella ricerca di immagini che vadano oltre sé stesse.
I rapporti complessi fra scienza e arte, in questo caso, fra tassonomia botanica, fotografia e riferimenti pittorici, a chi sappia vedere, appaiono sottostare alla semplicità apparente delle immagini, dandogli peso intellettuale e senso. Non sono immagini di vasi di geranio sul davanzale di una casetta borghese quelle di Fontebasso De Martino. Sono qualcosa di più, di più complesso.
“Fiorerossonero”, “Rosapertachiusa”, “Fiore secco rosso”, “Verde di spine”, “Lance” sono alcuni dei titoli, come brevi versi. Solo in due casi: “Tempio del sole” e “Svelato nel verde” si coglie sullo sfondo la traccia dell’intervento dell’uomo: un volto scolpito a parete, due puttini dipinti. Negli altri il compito di “raccontare la storia” è affidato unicamente alle piante e ai fiori. Il compito è ben assolto.
Roberto Gramiccia